Ho conosciuto ancor da bambino il Servo di Dio, perché frequentavamo la medesima scuola a Casorate Primo.
L'ho conosciuto poi ancora meglio quando da Suora andavo ogni giorno da Trivolzio a Torrino come maestra d'asilo infantile.
L'ho conosciuto allora il piccolo Erminio come un figliolo affabile con tutti, ubbidiente, devoto e di un aspetto veramente angelico. Studiava volentieri ed era additato come il nostro modello della scuola.
So che fu messo in Collegio di S. Agostino a Pavia. Durante le vacanze lo vedevo tutte le mattine nella chiesa Parrocchiale di Trivolzio, dove con grande edificazione e divozione ogni giorno ascoltava la Santa Messa e riceveva la Santa Comunione.
suor Maria Agnese Catenacci
Il piccolo Riccardo, che di battesimo si chiamava Erminio, era d'indole molto buona ed intelligente. Ubbidiva sempre. Noi abitavamo a Torrino, dove la famiglia conduceva un fondo: e pur essendo una famiglia numerosa, obbediva a tutti e da tutti era ammirato per la sua bontà. Recitava le preghiere mattina e sera con divozione e frequentemente entrava nella chiesa di Torrino per pregare; anche quando era ammalato restava a lungo in chiesa tanto che io mandavo a chiamarlo. Anche da ragazzo aveva un sì bel modo che induceva i servitori e i contadini a entrare in chiesa con lui. Frequentò la scuola a Trovo e poi a Casorate, dove si distingueva per intelligenza ed assiduità. Frequentava la dottrina cristiana in chiesa la domenica e poi la studiava da sé.
Ricevette la Cresima a Trivolzio dal Vescovo di Pavia, Mons. Ciceri, la prima Comunione la ricevette dal Prevosto Merli nel 1906: voleva ammetterlo anche prima, perché lo meritava per la sua condotta e per la sua intelligenza, ma poi il Prevosto si rimise. Alla Prima Comunione si preparò molto bene, ma non notai nessun cambiamento, perché fu sempre buono.
Maria Campari - la zia che lo allevò
Il piccolo Erminio giocava volentieri con gli altri fanciulli. Nei facili tafferugli tra ragazzi di quell'età, egli non si accalorava mai e, se avveniva di essere picchiato da qualcuno, scappava subito a casa e non si lamentava né diceva nulla a nessuno. La zia qualche volta se ne accorgeva e gli diceva: "Cosa hai fatto?" Ed egli: "Nulla, zia" Senza aggiungere altro.
A Torrino c'era una sua parente, poco più di trent'anni di età, sig.na Beatrice Tagliacarne, la quale amava radunare i ragazzi, specialmente quando non c'era la Dottrina in Parrocchia, spiegare ad essi il catechismo e raccontare fatti della Sacra Scrittura e delle vite dei Santi. Il piccolo Erminio era il più assiduo.
Nei giorni in cui nella chiesina di Torrino c'era la Messa, appena sentita la campana, il piccolo Erminio vi accorreva per ascoltarla e farsi la santa Comunione.
Luigi Cervi - compagno di infanzia
Egli ha frequantato la quarta e la quinta classe elementare a Casorate Primo (Pavia). A quell'epoca conviveva con gli zii, Dott. Carlo e Maria, abitanti nella frazione Torrino, in parrocchia di Trivolzio, che dista da Casorate Primo circa cinque chilometri. Gli zii lo consideravano come un loro figlio e quasi presaghi che quel frugoletto sarebbe un giorno diventato una stella fulgente nel cielo dei Santi, nulla tralasciarono per aprire il suo animo alle bellezze delle virtù cristiane.
Alla scuola fu sempre assiduo, anche col tempo cattivo e le strade quasi impraticabili. Le virtù che meglio rifulsero in Emilio Pampuri furono una bontà che chiamerei congenita, un'obbedienza pronta ed ilare, una tenacità volenterosa nello studio, una mitezza di carattere singolare ed una condotta irreprensibile sotto ogni rapporto come ne fanno fede gli attestati.
Era parco nelle parole, ma per tutti aveva un largo e luminosissimo sorriso, segno di animo tranquillo e ripieno di Dio.
Luigi Balbi, il maestro
Ho conosciuto il Servo di Dio da fanciullo, perché mio padre teneva il caseificio a Torrino, presso il fittavolo Campari, così che le scuole elementari le abbiamo fatte assieme e giornalmente da Torrino ci recavamo a Trovo noi due soli sino alla terza classe, poi a Casorate Primo per la quarta e quinta elementare. Si doveva seguire gli studi assieme, ma la morte di mio padre, avvenuta nel 1908, mi costrinse a portarmi a Milano per il lavoro. Dopo la guerra, quando io aveva negozio in via Cesare da Sesto, il Servo di Dio, medico a Morimondo veniva quasi settimanalmente a trovarmi.
Era un ragazzo intelligente e studioso, era obbedientissimo agli zii e maestri. A scuola, mentre io qualche castigo l'ho preso, lui mai. Era di indole buona, quieta, così che in cinque anni della nostra consuetudine non ricordo ci sia stato un solo screzio fra noi. Studiava il bene catechismo e non mancava mai alla dotrina alla domenica.
Luigi Tacchini, coetaneo e compagno di scuola
Ho conosciuto il Servo di Dio in quanto io ero prefetto in ginnasio e vicerettore in liceo al Collegio S. Agostino a Pavia dal 1909 al 1915. Quindi lo conobbi nei primi anni come studente di ginnasio poi come convittore quando era studente al liceo pubblico. La conoscenza aumentò perché nel 1911 cominciai ad andare alla domenica a celebrare la messa a Torrino frazione di Trivolzio e così ebbi occasione di conoscere anche gli zii.
In collegio era gracilino però era sano, io non l'ho mai visto ammalato. Era di coscienza delicata: so che andava quasi tutte le sere a conversare con il direttore spirituale in compagnia dell'amico Secondi attualmente, se non erro, medico condotto a Locate Triulzi.
Era un ragazzo un po' timido, però socievole: andava d'accordo con i compagni che lo stimavano per la sua applicazione allo studio. Era piuttosto riservato, non scontroso, né permaloso: era di carattere mite. Tanto lui come Secondi erano ragazzi stimati e ben voluti dai superiori per lo studio e la condotta. Non mi consta di alcuna fobia: era un ragazzo normalissimo.
don Francesco Fasani
Fra Riccardo mi fu caro compagno nel Collegio S. Agostino di Pavia dalla seconda Ginnasiale alle prime Liceali. Durante la grande guerra 1915-18 ci trovammo, presso l’Università di Pavia, compagni ad un corso militare per gli studenti di medicina richiamati in servizio militare.
Congedati a fine guerra, di nuovo fummo insieme alla R. Università di Pavia, ove completammo gli studi di medicina conseguendo la laurea in medicina e chirurgia nel 1921.
Per circa quattordici anni quindi fummo compagni di collegio, di studio, nella vita militare e universitaria. Durante questo tempo Erminio Pampuri eccelse grandiosamente tra noi suoi amici per bontà, umiltà, rettitudine di vita, mitezza di carattere, serenità di spirito.
Ma fu nel suo modo di sentire e professare le pratiche religiose e nel partecipare alla vita cattolica che da lui emanavano sentimenti di soavità e dolcezza che quanti gli furono amici sentivano trasfondersi nella propria persona quale guida arcana e misteriosa alla elevazione dei propri pensieri e delle proprie azioni.
Egli sapeva acquistarsi tanta comprensione, tanta ammirazione da tutti gli amici che in noi appariva quasi presaga la sua elevazione spirituale e materiale a una vita diversa, ancora più pura: per la vita Religiosa.
In lui certamente già dalla giovinezza il richiamo, la vocazione a una vita anche ascetica doveva essere sì prepotente che la naturalezza e la spontaneità delle manifestazioni della sua vita erano circonfuse di una celestiale bontà e di un francescano senso di umiltà che poi, per una misteriosa forza, da lui emanavano quale soave fragranza che si trasmetteva a quanti lo frequentavano.
Dott. Remo Porta
Il caro Pampuri fu mio compagno carissimo delle prime classi ginnasiali nel Ginnasio Ugo Foscolo di Pavia. Ci conoscemmo nel Collegio S. Agostino di Pavia e frequentammo insieme le prime classi ginnasiali; ma poi ci separammo nella scuola, perché lui intelligente non ripeté nessuna classe, mentre io invece dovetti ripetere la terza classe ginnasiale. Però posso dire che durante l’interrogazionedei compagni di scuola, egli si prodigava nel suggerire in un modo da farsi rimproverare dai professori e perfino di prendersi delle annotazioni sul registro di scuola pur di far fare bella figura al compagno. In Collegio egli era sempre premuroso con i compagni e felicissimo quando poteva aiutarli in qualche modo, nei consigli, dare perfino i compiti da copiare (ed io ne ho copiati tanti).
Tutte le mattine egli si accostava al SS. Sacramento dell’Eucaristia, ed era tanta la sua adorazione e preghiera da indurre pure me ad accostarmi anch’io qualche volta di più.
Venne la guerra ed io, più vecchio di lui di due anni, abbandonai gli studi per il servizio militare e non ci vedemmo più.
Lo vidi a guerra finita un giorno in bicicletta sulla strada comunale Besate-Casorate Primo (a metà di questa strada si trovava il fondo «Cascina Molinetti», che allora la mia famiglia conducava in affitto). Ne rimasi meravigliato e, dopo di esserci baciati e salutati, raccontammo tutte le nostre peripezie passate in questo lungo frattempo, dei nostri cari compagni, professori ecc., seppi che si recava a Torrino a trovare suo zio Dott. Campari. Questa strada la faceva più volte alla settimana.
Prima di lasciarmi, per la prima volta, alcune raccomandazioni, una mezza predica e un caro arrivederci.
[segue]
Dopo alcuni giorni lo vidi di nuovo ed allora lui si sbottonò con me, volle sapere se dicevo sempre le orazioni, la Santa Messa, il Rosario ed infine venne sulla bestemmia. Alla mia affermazione che qualche volta, quando i contadini mi fanno arrabbiare, ne caccio qualcuna: allora che predica lunga, perfino da stancarmi.
Ci trovammo di sovente, tanto che un giorno gli dissi: «Senti, Pampuri, smettila con queste tue prediche, non hai altro da dire? Se non la smetti, quando passi di qui che ti vedo, non ci vengo più a salutarti». Ed infatti lui passava, lo vedevo e volevo disinteressarmi di lui, ma sentivo in me un non so che che mi attirava a lui e dovevo andare a sentire ancora la sua predica.
Gaspare Mainetti
Ho conosciuto personalmente il Dr. Erminio Pampuri, come studente e come medico, e sono stato sempre suo ammiratore per la grande bontà, pietà ma specialmente per la sua grande carità.
Mi ricordo che ancora studente, passava l'intera notte al capezzale degli infermi poveri, e portava con sé i libri di studio per prepararsi nei momenti in cui l’infermo non aveva bisogno.
Sono stato in rapporto con lui fino a quando venne nominato medico condotto a Morimondo, dopo non ho saputo più nulla.
Piero Galli
Ho conosciuto il Servo di Dio come compagno di Università a Pavia e quando fummo richiamati al servizio militare e seguivamo in divisa il corso universitario col Dott. Meda, Dott. Nebuloni ora defunto, che facevamo un gruppo molto affiatato.
Usciti dall’Università non ci siamo più incontrati, in quanto che egli andò in condotta ed io ho seguito l’ospitaliera.
La figura del Servo di Dio mi ritorna alla mente come quella di un giovane nel quale la caratteristica principale e dominante era la purezza che si manifestava sia nell’aspetto esterno del volto quasi sempre atteggiato ad una luminosa serenità, sia nell’atteggiamento psichico rivolto ad una benevola comprensione dell’animo altrui che lo rendeva compartecipe delle gioie e nelle eventuali sofferenze dei colleghi di studio.
Dal punto di vista religioso io so ch’egli profondamente credette e praticò. Ma di questo non faceva ostentazione, né entrava a discorrere senza motivo. So che egli faceva parte del Circolo Severino Boezio.
Come studente era attento e scrupoloso nella materia d’esame. Dimostrava con tutti affabilità e cordialità ed era da tutti ben voluto.
Dott. Giovanni Pirani
Non mi è facile a distanza di oltre un ventennio scrivere intorno a Riccardo Pampuri da me conosciuto durante gli anni trascorsi presso l’Università di Pavia.
Rammento un suo certo modo di incedere composto e grave ed il bel sorriso che gli animava il volto quando i nostri sguardi si incontravano: il suo bel modo di salutare affettuoso, il suo discorrere semplice, sereno sia che si parlasse dei nostri begli ideali di allora, o dei movimenti sociali bruschi e burrascosi del momento, o del volgere del lavoro dei campi, uno dei nostri temi prediletti; e poi un suo modo di accomiatarsi, sempre accompagnato da qualche raccomandazione quasi materna incitante al bene, trattenendoti un po’ la mano in mano quasi a comunicarti qualche cosa di se stesso o trattenerti ancora un istante per lasciarti un desiderio di sé dopo la sua partenza. Parlava dolcemente con un timbro di voce un po’ velato, non mai alterato da interne commozioni, guardando lievemente negli occhi, non per indagine o per curiosità, ma quasi a leggere nella tua anima la verità di quanto dicevi, unito ad un’ansiosa preoccupazione per le tue ansie e i tuoi dolori. Soprattutto vi era sempre un qualche cosa in lui che lo contraddistingueva in modo tutto speciale sia che lo si vedesse in chiesa od al circolo Severino Boezio o per istrada: un senso di contenuto distacco da quanto lo circondava, uomini e cose, quasi non vi appartenesse, una sensazione vorrei dire fisica di trasparenza di anima esteriorizzata, che ha la sciato in me e in quanti lo hanno conosciuto e frequentato la certezza di aver incontrato un puro.
Nessuno avrebbe osato di fronte a lui un atto, una parola, un gesto non retto ed onesto: un senso di rispetto affettuoso, come ad un bimbo, teneva i presenti ed un profondo desiderio di emulazione lasciava il suo distacco.
Dott. Antonio Bareggi
Ho conosciuto l’ottimo Dr. Erminio Pampuri a Pavia nel 1920 e sono stato suo amico, ritengo fra i migliori, nei due anni che hanno preceduto la laurrea.
Frequentava il Circolo Universitario Severino Boezio ove era dei più assidui. Di animo mite, modestissimo, schivo di ogni esteriorità che lo potesse minimamente far conoscere nelle sue virtù e nei suoi meriti, il Servo di Dio Fra Riccardo, era amato da tutti i condiscepoli ed anche da coloro che non avevano e praticavano la Sua fede.
Era assiduo nelle pratiche di pietà e nella vita religiosa era dei primi.
Non ho alcuna notizia particolare della vita intima, perché, riguardoso com’era, si guardava bene dal far apparire quello che era il costume di tutta la sua vita.
Aveva aderito al Movimento Cattolico Universitario dell’ante guerra con comprensione della sua necessità; e per far piacere agli amici, nonostante fosse contrario alla sua indole, partecipava in letizia al chiasso qualche volta incomposto che a Pavia si faceva attorno a Mons. Giandomenico Pini.
Da tutti noi era considerato il più pio, il più buono, veramente esemplare.
Avv. Ennio Zelioli
Il Dr. Erminio Pampuri lo conobbi a Pavia dal principio del 1919 sino al compimento della sua laurea in medicina. Era un giovane semplice, modesto e preciso. Era assiduo frequentatore del Circolo Universitario Cattolico «Severino Boezio» e mancava mai alle pratiche religiose. Era anche un ottimo frequentatore della Confraternita S. Vincenzo, anzi direi che in seno ad essa vi si trovava meglio che nel Circolo. Se di tutto questo periodo non posso raccontare fatti straordinari che aiutino a svelare l’eroica virtù del prossimo Fra Riccardo, debbo però asserire che l’insieme di sua vita in Pavia denotava una precisa situazione del suo essere, volta unicamente e fervidamente su una precisa e proposta strada. Nessuna esteriorità nella sua persona e nelle sue azioni, che abbiano potuto denotare qualche influenza materiale del momento; nessuna variazione nei sentimenti e nel carattere, come può accadere quando vi siano crisi o semicrisi materiali o spirituali, proprie di quell’età.
Pampuri era sempre retto e uguale: non si è mai fatto avanti per avere cariche, per smaniare, per imporsi; non diede motivi di esaltazione o di depressione. Era sempre pacato e pio; buono e affettuoso. Allora dai più nel mondo poteva essere trascurato; oggi dai medesimi, ripensandoci, potrebbe essere venerato. Quella semplicità e bonarietà rappresenta la sua umiltà e carità cristiana.
Quel giovane col viso sempre sereno era certamente intento alla formazione spirituale di sé stesso, onde maggiormente prepararsi alla vita che conduce alle virtù eroiche.
Questo è ciò che posso testimoniare.
Dott. Luigi Bazzoli
Ricordo l’amico Pampuri, che ho conosciuto a Pavia negli anni del dopoguerra. Ero anch’io socio, come Lui, del Circolo Boezio.
Sul suo conto non ho molti particolari essendo egli stato della Facoltà di Medicina.
Lo vedevo di frequente, parlavo spesso con Lui ed eravamo buoni amici. Era buono, semplice di modi, di condotta esmplare. Aveva uno sguardo dolcissimo ed i suoi occhi denotavano purezza e intelligenza.
Ricordo di averlo trovato occasionalmente una sera a Milano nel novembre del 1926 e di aver fatto un tratto di strada con Lui: ricordo che ad un certo punto egli mi suggerì di leggere un libro appena edito di meditazioni del Gratry. Capii che mi parlava del libro e me lo suggeriva con animo di amico e, in quel momento, con spirito di apostolo.
Qualche giorno dopo quell’incontro o forse anche il giorno seguente acquistai il volume, che tengo caro perché mi ricorda sempre l’amico Pampuri e la Sua bontà.
Avv. Giuseppe Maza
Ho conosciuto il Servo di Dio da quando egli era a Morimondo e abitava proprio sopra il mio appartementino nella Casa Comunale: quando usava la bicicletta io gliela riturava in casa, e quando usava la carrozza io gli governava il cavallo: veniva ogni giorno a casa mia. [...] Tutte le mattine andava in chiesa, faceva la Comunione e sentiva la Messa. Alla domenica era sempre presente alla prima Messa e tutti lo potevano vedere e notare il modo con cui si comportava. [...]
Era caritatevole con tutti; prima di tutto voleva che fossero buoni cristiani; e quando sapeva che qualcuno era lontano dalla Chiesa, egli gli teneva addietro fino a tanto che lo aveva fatto cedere ed egli stesso lo accompagnava in chiesa, perché si confessasse e facesse la comunione insieme con lui: poi lo portava in casa sua e lo serviva di vino e dolci e per tutto il giorno era felice di aver conquistato un’anima. Ma era anche assai caritatevole quando, entrando nella casa di un ammalato, lo vedeva bisognoso e in povertà, allora egli dava le medicine, o gli dava denari per comperarle: a parecchi pagava il libro del prestinaio, cosicché abitualmente quando era il 20 del mese, egli aveva esaurito il suo stipendio ed allora molte volte si rivolgeva a me chiedendomi in prestito qualche cosa.
Alessandro Calati
Il Dott. Pampuri Erminio era più prete che dottore; così si esprimeva con grande semplicità un vecchio contadino di Morimondo uno di quelli dell’antico stampo, che dicono sempre la verità e non conoscono la menzogna.
Ed aveva pienamente ragione, poiché il Dottor Pampuri possedeva una profondissima vocazione religiosa.
Egli godeva un mondo — era la sua passione dominante — quando nei giorni festivi poteva riunire i giovani nell’ampia Basilica cistercense per prepararli a ricevere con devozione il Pane dei Forti. Ogni anno raccoglieva un gruppo di contadini e li accompagnava a Triuggio per compiere un breve periodo di ritiro spirituale presso i Reverendi Padri Gesuiti.
Zelantissimo e premurosissimo nell’esercizio dell’arte medica, che considerava come una missione, aveva per tutti una dolce, amorevole parola di conforto. Dotato di una eccezionale modestia, sosteneva di fronte agli ammalati, che il merito della guarigione non era da attribuirsi alla sua meschina opera, ma bensì alla Divina Provvidenza.
Cortese, affettuoso con tutti, lieto e felice di portare la sua umile, modesta opera per lenire i dolori e conquistare i cuori, era, particolarmente per gli ammalati, un vero angelo consolatore.
Rag. Carlo Tagliabue
Prima di tutto devo dire che il Dott. Pampuri mi ha sempre fatto l’impressione di un’anima purissima e molto delicata. Di più ho veduto in lui uno zelo ardentissimo per la salute delle anime.
Venuto agli Esercizi e sperimentatane l’efficacia, si adoperò a tutto potere, perché altri ne facesse la prova.
A questo scopo organizzò parecchi corsi di contadini, che conduceva egli stesso a Villa S. Cuore di Triuggio, sostenendo le spese di viaggio per tutti loro. E quando ebbe esaurito il numero dei contadini di Morimondo, dove era medico, si diede ad organizzare altri corsi per i contadini e le altre persone della vicina Abbiategrasso e di altri luoghi. È da notare che il soggiorno a Villa S. Cuore, per gli operai e per i contadini che per la prima volta intervenivano agli Esercizi, era gratuito; tuttavia egli non lasciava di fare qualche offerta alla casa.
Era pieno di carità per tutti e sentiva vivamente le miserie morali e materiali del povero popolo, soprattutto dei suoi poveri contadini di Morimondo e cercava di alleviarle nel miglior modo possibile.
Padre Carlo Beretta S.J.
Nei primi tempi che il Dott. Pampuri arrivò a Morimondo, fondò il Circolo dei Giovani di Azione Cattolica ed il Corpo Bandistico musicale, con elementi presi dal Circolo, chiedendo un contributo ai fittavoli del Comune per l'acquisto degli strumenti. Maestro era il Parroco di Morimondo, Sac. Cesare Alesina.
Aveva organizzato turni di esercizi Spirituali non solo tra i giovani del suo Circolo ma anche tra gli uomini del paese, e a gruppi di 4 o 5 per volta li accompagnava o li mandava a Triuggio nella Brianza presso i Padri Gesuiti. Spesso per superare le difficoltà economiche dei partecipanti agli Esercizi, egli pagava loro il viaggio e le altre spese.
Dava tutto il suo stipendio ai poveri e perciò non aveva mai soldi.
Diede nuova vita alla Confraternita del SS. Sacramento.
Spesso faceva ai soci la dottrina, parlava a loro o spiegava il Vangelo nella sala del Circolo.
Dai malati poveri non si faceva pagare mai, anzi lasciava ad essi il danaro per comprarsi le medicine.
Beniamino Mainardi
Il Servo di Dio era un uomo di fede eroica. A noi giovani di Morimondo spiegava il catechismo completando l'insegnamento che faceva il Parroco. Quando c'era la Messa cantata a lui piaceva assistere con noi in coro: ma egli non sapeva cantare ed allora faceva la traduzione e la spiegazione delle parti che noi cantavamo per permetterci di cantarle bene. Alla domenica sentiva sempre due Messe; la prima per fare la comunione e poi la seconda per assistere al canto. Il Circolo aveva l'obbligo della comunione generale una volta al mese ed era lui che leggeva il preparamento e il ringraziamento. Anche durante la settimana faceva la comunione tutti i giorni e durante la giornata nei momenti di riposo faceva la visita al SS.mo Sacramento. Passando in bicicletta davanti alla chiesa nell'andata e nel ritorno nella visita agli ammalati sempre usava saltar dalla bicicletta, mettere la testa in chiesa, fare una riverenza e poi partire. Alla sera prima di coricarsi recitava il Rosario colla sorella, e quando io era presente mi invitava.
Dava tutto in elemosina ed era sempre in bolletta.
Agli ammalati poveri forniva le medicine magari comprandole a sue spese e forniva qualche bottiglia di liquore ma evitando che questo si sapesse. Io che, andando giornalmente ad Abbiategrasso, ricevevo i suoi ordini per gli acquisti, sapevo quanto egli spendeva, mentre la popolazione solo quando venne il successore si accorse della carità che il Servo di Dio aveva fatto.
Mario Bologna
Grande era l'amore che aveva per il Signore. Parlava di Dio e della Madonna con un accento tale che veniva dal cuore, come se parlasse di suo padre, di sua madre, di una persona conoscente. Io lo guardavo sbigottito, perché Dio per me era una grande cosa, ma lontana da tutto quello che poteva vedere e immaginare. Invece per il Dr. Pampuri era una realtà ben sentita, di cui non poteva fare a meno.
Alla mattina, appena svegliato (circa le 7) si faceva il segno della croce, poi si vestiva, cogli occhiu chiusi, come chi sa pregare. Si inginocchiava appena era vestito su di una sedia una decina di minuti; poi scendeva in chiesa e rimaneva per tutto il tempo della Messa.
Come cominciava il giro degli ammalati alle varie cascine, o in bicicletta o colla carrozza: iniziava subito la corona del Rosario. Si concentrava allora in modo tale, che se il cavallo non fosse stato pratico della strada, si sarebbe o fermato, o avrebbe sbagliato la via, perché il Servo di Dio non si occupava minimamente della guida. Un giorno il cavallo per il passaggio di una motocicletta si impennò, ruppe le redini e volò sulla strada. Lui imperterrito con una mano tenne la corona coll'altra la coda del cavallo. L'avventura finì bene, ma il dottore non cessò un istante di recitare il Rosario.
Mi diceva che tutto era bello, se fatto come dono a Dio. « Quanti meriti può acquistare un uomo facendo con gioia e offrendo a Dio ogni opera come preghiera ». Mi diceva spessissimo.
dott. Alessandro Pampuri (nipote)
Mio fratello frequentava l'ospedale di Abbiategrasso e un giorno che vi era il Professor Negroni di Milano per delle operazioni, terminato tutto doveva recarsi alla stazione e allora mio fratello gli offrì il biroccio per accompagnarlo; ed egli accettò. Strada facendo egli parlava degli ammalati e confidenzialmente il Professor Negroni gli disse che lui era un bravo medico, ma che era troppo scrupoloso, che esagerava troppo nella religione. E lui gli rispose che il primo medico era il Signore che dava la vista ai ciechi col fango, e poi ha dato la sua vita per noi; e quindi per quanto noi facciamo, non facciamo nemmeno la minima parte che il Signore fece per noi.
Agostino Pampuri
Sono ben lieto poter affermare che riputai sempre grazia speciale del Signore l'aver conosciuto il giovane Erminio Pampuri Medico Chirurgo, frequentare la sua amabile, edificante conversazione. I suoi discorsi erano sempre di cose spirituali. Mi parlava sovente della sua vocazione religiosa, e desiderava effettuarla appena le circostanze l'avessero permesso.
Nell'esercizio della sua professione appariva luminosamente la grande carità che ardeva nel suo cuore verginale, che lo rendeva sollecito nell'assistere, curare amorosamente gli ammalati, attorno ai quali con prudenza e delicatezza speciale esercitava un vero apostolato religioso.
Di quanto gli poteva fruttare la sua arte di Medico ne faceva parte agli ammalati poveri. A me spesse volte in secreto consegnava delle somme perché le custodissi e che lui poi destinava alle Missioni Cattoliche tra gli infedeli.
Non posso tacere della sua Fede profonda e dell'amore vivissimo verso l'Augustissimo Sacramento dell'Altare. Più volte è toccato a me scuoterlo e richiamarlo dalle prolungate Visite, Adorazioni davanti al Santo Tabernacolo; chiedendo venia di essersi fatto aspettare.
P. Cherubino Facchinetti, O.F.M.
Il Dott. Riccardo Pampuri, medico condotto di Morimondo, venne da me per decidere la sua vocazione alla Religione dei PP. Fatebenefratelli, Figli si san Giovanni di Dio.
Io in principio fui sorpreso da forte timore perché mi pareva di essere interpellato su problema troppo difficile non conoscendo affatto l'interpellante, e quasi volevo rifiutarmi. Ma poi, entrando in argomento, vidi che avevo a che fare con uno spirito equilibrato, cosciente di quanto sottoponeva al mio giudizio, così che mi tornò facile o almeno non difficile la risposta mia affermativa.
Per la salute (capiva il Pampuri di essere un pochino avariato nelle sue vie respiratorie t.b.c.) già aveva ragguagliato i Superiori con sincerità. Ciò mi ha edificato assai. Intesi la santità del giovane. La intesi ancor meglio per le risposte sensatissime che diede alla mia difficoltà massima: «Perché riununciare all'apostolato nel mondo, all'apostolato così fecondo di un medico cattolico in un paese, in una regione, in un popolo che dal medico apprende la verità della religione e la santità della vita cristiana?».
Le risposte furono esaurienti. Non le ricordo testualmente, ma ricordo che furono tali che io (che sono purtroppo di coscienza timida e facile allo scrupolo) ne rimasi colpito e perfettamente illuminato.
La vocazione per la vita religiosa fu così decisa. Partì da Rho contento e felice, lasciando in me un'impressione di santità umile e verace.
p. Giustino Borgonovo
Conobbi il Dott. Erminio Pampuri nella primavera del 1923. Ero allora io pure giovane sacerdote di nove anni di Ordinazione (1914) e da due anni e mezzo ero addetto al Segretariato Diocesano della Unione Missionaria del Clero per la propaganda in favore delle Missioni Estere in tutte le Parrocchie della nostra Archidiocesi. [...]
A Morimondo il Dott. Pampuri, che era già l'anima di tutte le iniziative parrocchiali, specie nel campo dell'Azione Cattolica, divenne anche l'intelligente e zelantissimo capo della Commissione Parrocchiale Missionaria. [...]
Fu dunque agli uffici del Segretariato Diocesano dell'Unione Missionaria del Clero, in Milano, via Cardinal Federico, ch'io nella primavera del 1923 m'incontrai col Dott. Pampuri Erminio di Morimondo. Non dimenticherò mai quel mio primo incontro. L'occhio azzurro, trasparente, il viso atteggiato ad un modesto lieve sorriso; il portamento delicato, compìto, il tratto gentile, la voce sommessa, suscitarono nell'animo mio un'onda di spirituale simpatia. A chiusa del nostro primo colloquio, mi accorsi che egli pure aveva creduto di aver trovato in me un cuore che l'avrebbe compreso. Stringendomi la mano disse: «Se sapessi di non recarle eccessivo disturbo, giungendo anche fuori dell'orario dell'ufficio, col suo consenso, verrei ancora e con una relativa frequenza».
Fu così che quel primo colloquio fu seguito da tanti altri, che si susseguirono con una maggior frequenza: e che molte volte si conchiudevano colla assoluzione nel confessionale della chiesa di San Sepolcro, annessa lla Casa dei Padri Oblati. Lo studio di quell'anima da parte mia, durò dal 1923 al 1926. Nel 1926 feci le prime rivelazioni al Padre Provinciale della Provincia Lombardo-Veneta dei Fatebenrefratelli, Padre Zaccaria Castelletti, mio condiscepolo nel Seminario Teologico di Milano. [segue]
Nel 1927 il Dott. Erminio Pampuri faceva formale domanda di essere accolto nell'Ordine Ospitaliero di San Giovanni di Dio (Fatebenefratelli), ed io lo consegnavo nelle mani di Padre Castelletti.
Quando io nel 1923 conobbi il Dott. Erminio Pampuri, egli era già in uno stato di avanzata maturità spirituale. Potei parlarne anche col sac. Arrigoni Luigi, allora Coadiutore nella Parrocchia di S. Pietro in Sala a Milano, altro mio amico, morto in concetto di santità, Nunzio Apostolico a Lima (Perù) il 5 luglio 1948. Don Arrigoni conosceva molto bene il Dott. Pampuri, perché allora il padre di don Arrigoni abitava colla famiglia a Ticinello di Morimondo; e fu là che che don Arrigoni strinse amicizia col Dott. Pampuri. Quando io parlai del dottore a don Arrigoni, a questi uscì spontaneamente l'espressione: «Il Dott. Pampuri? è fatto più per il cielo che per la terra. Guai se Morimondo non avesse il Dott. Pampuri! ...». Infatti era allora parroco di Morimondo il sac. Alesina Cesare, di carattere scontroso e infiammabile. Ed era sempre il Dott. Pampuri che, colla sua mitezza ed affabilità, componeva le liti che frequentemente sorgevano tra il parroco e le famiglie notabili del paese, tra il parroco e il Comune, tra il parroco e i partiti politici, tra il parroco e la stessa Presidenza delle Associazioni di Azione Cattolica. [...]
Studiammo assieme per lunghi anni e assieme pregammo. [...]
Una fede profonda, irradiata dalla luce della speranza cristiana; una carità squisitamente filiale verso Dio, tanto che il Dottore, incapace a contenerne le fiamme, che ne avvampavano il cuore, prorompeva in fiamme di apostolato attorno ai poveri, agli ammalati, ai peccatori. Una umiltà così profonda e così sincera, ch'egli era giunto alla [segue]
convinzione del suo nulla. La fede del Dott. Pampuri era luce e vita. Tutto egli considerava , tutto giudicava «sub specie aeternitatis». Questo, fin dal nostro primo incontro. In lui pareva che il «lumen Fidei» avesse già dato il posto al «lumen gloriae». Pareva lo vedesse Iddio, pareva lo sentisse. Un giorno del 1925 che io lo sorpresi nell'atto di stringere la mano a una persona a me invisibile, mi disse, con gli occhi scintillanti: «Non lo sente lei Iddio?».
L'Eucaristia pareva che per lui avesse deposto il velo delle «specie». Pochi minuti di contemplazione innanzi al Tabernacolo, quando soprattutto si sentiva solo, bastavano a strappargli la nozione del tempo e delle cose. [...]
Egli si credeva l'umile servo di tutti, l'ultimo nella graduatoria dei valori. In casa, sui banchi della scuola, nei ranghi dell'Azione Cattolica, nel campo della sua professione, nel numero dei suoi Confratelli. Quando egli — a chi si meravigliava ch'egli avesse scelto un Ordine religioso eminentemente laico, che gli precludeva la via del Sacerdozio e quindi dell'apostolato diretto delle anime — rispondeva che per lui era già troppo l'abito nero del Frate Ospitaliero. Fra Riccardo era convinto di dire la più vera e la più semplice definizione della sua personalità.
Con me si meravigliava che i Superiori avessero potuto passar sopra a tutte le sue insufficienze ed accoglierlo egualmente tra i figli spirituali di S. Giovanni di Dio.
E quante volte chiedeva a me prima di morire del come avrebbe potuto scagionarsi dei disturbi e dei danni che per la sua salute «e per la sua incapacità» aveva dovuto recare al suo Ordine.
sac. Riccardo Beretta
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